La situazione economica del Paese/L’impegno dei repubblicani tende a favorire l’incontro fra le maggiori forze politiche Superare la crisi con una prova di responsabilità di Francesco Nucara e Gianfranco Polillo Su esplicita richiesta di Dario Franceschini il Parlamento si appresta a discutere della difficile situazione economica del Paese. Lo fa nel contesto di una campagna elettorale velenosa, dove prevalgono i toni sanfedisti, più che il ragionamento pacato da fare a livello regionale. Dove è tempo di bilanci: soprattutto per mettere a freno una spesa pubblica locale – a partire dalla sanità – da tempo fuori controllo. Con ogni probabilità sarà, quindi, un’occasione sprecata. La maggioranza farà quadrato, nel difendere l’azione del Governo. L’opposizione affastellerà richieste su richieste, senza preoccupazione alcuna per gli equilibri finanziari dell’Italia. Mentre sull’Europa incombe il rischio di default della Grecia, che può trascinare con sé la precaria situazione del fronte Mediterraneo: Spagna e Portogallo, ma con inevitabili riflessi, dato l’alto debito pubblico, anche nei confronti del nostro Paese. Speriamo che di tutto ciò si possa tener conto e che alla fine prevalga un barlume di consapevolezza. Ma il nostro scetticismo, alla luce delle manifestazioni di piazza realizzate ed annunciate, non trova, almeno per il momento, conforto nei dati della situazione reale. Ad un piccolo grande partito come il nostro, non rimane pertanto che un’azione di testimonianza. Dire ad alta voce come stanno le cose, senza schierarci pregiudizialmente a favore dell’uno o dell’altro. Una nuova "predica inutile", si dirà. Può darsi, ma nella storia nazionale quei lontani tentativi rappresentarono una dimostrazione di anticonformismo; tant’è che ancora oggi ad essi si fa riferimento, mentre sui potenti di quel periodo è scesa da tempo la polvere dell’oblio. L’importante, in queste cose, è mantenere alto un rigore intellettuale ed aspettare, con serenità, il giudizio del tempo. Si dice che la situazione economica del Paese stia cambiando in meglio. Prestigiose istituzioni – dalla Confindustria all’ISAE – scrutano i dati della congiuntura e formulano auspici. La produzione industriale, dopo il forte calo dei mesi precedenti, sta leggermente migliorando. Per l’anno in corso i principali organismi internazionali – OCSE, FMI e Commissione europea – ipotizzano un tasso di crescita che oscilla tra lo 0,7 e l’1 per cento. Speriamo abbiano ragione. Non facciamo il tifo per il tanto peggio, tanto meglio. Ma al tempo stesso, vista la grande volatilità dei mercati, non ci azzardiamo con nostre previsioni. Lo scoppio improvviso della crisi finanziaria, già una volta, ha dimostrato quanto labili siano quelle costruzioni teoriche e quanto poco affidabile il mestiere stesso degli economisti. Preferiamo quindi ragionare con i piedi per terra: a partire da quello che effettivamente è stato, in quest’ultimo periodo. L’ultimo trimestre del 2009 si è chiuso con una nuova caduta del PIL, sia in termini congiunturali che tendenziali: dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e del 3 per cento rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente. Rispetto al punto di minima, toccato nel primo trimestre del 2009, un certo rimbalzo c’è stato. Il recupero, nei confronti del 2006, è stato di circa un terzo. E’ la fotografia del bicchiere mezzo pieno. C’è da rallegrarsi, ma senza trionfalismi. Preoccupa, infatti, innanzitutto il confronto con gli altri Paesi. L’Italia è l’unico caso in cui si registra un doppio meno. In Germania il reddito è diminuito del 2,4, in termini tendenziali, ma è rimasto stazionario in termini congiunturali. Tutti gli altri Paesi (Stati Uniti, Francia, Inghilterra e l’intera Europa) registrano, invece, valori positivi almeno dal punto di vista congiunturale (rispetto cioè al trimestre precedente). Sul piano tendenziale, invece, le cadute sono comunque inferiori, mentre gli Stati Uniti presentano, addirittura, un valore positivo. Perché quest’anomalia suscita preoccupazioni? Sul piano internazionale si discute da tempo sul carattere di questa crisi. Due le tesi a confronto. Gli ottimisti sostengono ch’essa avrà un andamento a "V". Alla grande crisi farà seguito una ripresa, lenta se si vuole, ma continua nel tempo. I pessimisti ipotizzano, invece, un andamento a "doppia V": double deep, come dicono. Alla breve ripresa, farà seguito una caduta ancora più grave. I dati congiunturali che abbiamo indicato fanno protendere, per la maggior parte dei Paesi considerati, per la prima ipotesi. Per l’Italia, invece, la situazione è molto più incerta. Vediamo perché. Abbiamo già detto che la caduta del reddito nel quarto trimestre dell’anno trascorso è stata pari allo 0,3 per cento, in termini congiunturali. Questo è, tuttavia, il dato sintetico. Se lo si scompone nelle sue componenti fondamentali, il quadro rischia di divenire più buio. Le esportazioni italiane mostrano una seppur lenta ripresa, ma il balzo delle importazioni è stato ben più forte. Il contributo dell’estero ha, pertanto, contribuito a far scendere il PIL per una percentuale pari allo 0,8 per cento. Una divaricazione che trova spiegazione nel maggior consumo dei prodotti importati dovuti sia al loro prezzo, che alla ripresa, seppure modesta, dell’attività produttiva (importazioni di materie prime e prodotti intermedi). Gli investimenti hanno subìto una nuova caduta, rispetto al trimestre precedente, periodo in cui, dopo la forte flessione di un intero anno, avevano mostrato una progressiva ripresa. Sulle relative decisioni hanno pesato, evidentemente, sia aspetti psicologici – le incertezze del quadro nazionale ed internazionale – sia fatti oggettivi: quale la caduta dei consumi e la minore disponibilità di credito. Chi parla di credit crunch, per denunciare il comportamento di molte banche italiane, qualche ragione dalla sua parte evidentemente ce l’ha. Ugualmente preoccupante è l’andamento dei consumi, che mostrano una flessione dello 0,1 per cento, dopo una crescita nei precedenti trimestri dello 0,4 e dello 0,3 per cento. Il Consiglio dei Ministri si appresta a varare un provvedimento che mira ad incentivare alcuni consumi di massa e a sostenere gli investimenti. Si tratta di una decisione che trova giustificazione negli andamenti del ciclo e che, quindi, va sostenuta, nella speranza ch’essa possa contribuire ad invertire una tendenza negativa. Essa è stata contrastata da un solo dato positivo: l’andamento delle scorte che, da sole, hanno contribuito per lo 0,8 per cento alla crescita del PIL. Senza di esse la caduta sarebbe stata ben più grave: in percentuale superiore addirittura all’1 per cento del PIL. Saremmo tornati al secondo trimestre del 2008: quello che precedette il momento culminante (-2,7 per cento) della crisi. L’aumento delle scorte può essere facilmente spiegato con la precedente sospensione di quest’attività, che dura ormai da quasi 2 anni. Erano quindi, praticamente, esaurite. Si può, inoltre, comprendere con la volontà della maggior parte delle imprese italiane di trattenere, per quanto possibile, la propria mano d’opera. Le aziende, piuttosto che procedere a massicci licenziamenti, grazie anche al sostegno derivante dalla Cassa integrazione, hanno mantenuto aperti gli impianti, facendoli lavorare per il magazzino, nella speranza di una possibile ripresa dei consumi e dei mercati di esportazione. Una caduta trimestrale del PIL pari all’1 per cento non può essere presa a cuor leggero: tanto più ch’essa avviene in un contesto generale segnato dalla flessione dei consumi e degli investimenti. A chi venderemo, nei prossimi mesi, le scorte di magazzino che abbiamo finora accumulato, se quel volano non entrerà di nuovo in funzione? Si può sempre sperare nella ripresa della domanda mondiale, ma l’incertezza di questa seconda prospettiva è evidente. Si naviga, quindi, al buio. Il 2009 si è chiuso, purtroppo, all’insegna dell’ambiguità: può trattarsi di una semplice battuta d’arresto, ma anche del primo segnale d’allarme che anticipa quel doppio deep, che tanto preoccupa gli osservatori internazionali. Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani hanno, pertanto, una grande responsabilità. Spetta loro, rappresentanti delle maggiori forze politiche italiane, uscire definitivamente dalla sindrome del reciproco assedio e tracciare la rotta che porta al superamento della crisi. Occorre più confronto e dibattito politico, ma soprattutto più convergenza programmatica sulle scelte di fondo a favore dell’economia e della società italiana. Solo così si può arrestare un crescente senso di sconcerto che investe le forze sociali e lambisce il mondo stesso della politica, come dimostrano le recenti prese di posizione di Umberto Bossi. In un momento diverso, ma altrettanto grave, i Repubblicani fecero di tutto per favorire l’incontro tra le maggiori forze politiche italiane, nonostante il permanere di profonde fratture culturali, ideologiche ed ideali. Quell’esperi-mento gettò le basi per fare uscire il Paese da una spirale inflazionistica che rischiava di minare le basi stesse della convivenza sociale. Poi la logica di Yalta prese nuovamente il sopravvento. Il condizionamento internazionale ne impedì gli ulteriori sviluppi in senso democratico. Ma oggi tutto questo non esiste più. E’ stato consegnato alla storia ed al suo impietoso verdetto. Nulla, se non la pelosa intransigenza di alcuni, semplice copertura ideologica di un’insipienza culturale, impedisce di compiere i necessari passi in avanti. Dobbiamo isolare e battere queste posizioni per ridare all’Italia quel futuro che merita. |